Heinrich von Kleist (1777-1811) quadro di:
Anton Graff (1808)
Cenni biografici:
Il 18 ottobre 1777 nasce a
Francoforte sull’Oder Bernd
Wilhelm Heinrich von Kleist. La sua vita è densa di travagli fisici e
interiori, di spostamenti e cambiamenti. Già nel
1792 entra nel
reggimento della guardia di Potsdam. Divenuto nel
1797 tenente compie un viaggio nello Harz e intraprende studi
matematici e scientifici. Nel 1799 Kleist abbandona la carriera militare e
incomincia a dedicarsi assiduamente alla letteratura, alla scrittura e al
teatro. Torna a Berlino per poi trasferirsi in
Svizzera, a Thun. I numerosi
viaggi tra Berna,
Parigi, Ginevra e Milano
non lo aiutano a superare la profonda crisi fisica e psichica che lo
attanaglia tanto da abbozzare i primi piani di suicidio.
Ritorna in
Germania nel 1803 per dedicarsi alla
carriera di funzionario prussiano a Berlino, carriera abbandonata solo tre
anni più tardi. Dopo l’ennesimo soggiorno, questa volta a
Praga nel 1809, si ammala e ha un
definitivo crollo nervoso dal quale non si riprenderà fino al suicidio
avvenuto il 21 novembre del 1811 al
Wannsee,
presso Berlino, insieme alla sua intima amica Henriette Vogel.
Le opere di Kleist:
Questa premessa biografica inquadra la vita inquieta ed errabonda di uno dei
più grandi poeti e drammaturghi che la letteratura, non solo tedesca, possa
annoverare. Al giovane Heinrich l’ordine del mondo appare subito come
un’illusione dove a dominare è il caso, il dubbio, l’angoscia. L’uomo è una
marionetta appesa ai fili del destino come dirà alla fine dei suoi giorni
nel celebre saggio Über das Marionettentheater
(Sul teatro delle marionette).
Kleist si interessa inizialmente di
scienza salvo poi scoprire, con amara delusione, che altro non sarebbe che
un cumulo di mere nozioni tecniche che non risolvono le sue incertezze; in
questa chiave l’illuminismo non fornisce le risposte che sperava di
ottenere. Nasce una prima crisi, ma lo scrittore, voltate le spalle alla
scienza, si dedica all’arte e alla poesia. L’idillio è solo apparente.
Abbraccia il
romanticismo, ma in una maniera assai particolare: spesso
sovverte i temi della corrente culturale o addirittura li contraddice.
Fondamentale il suo interrogarsi sulla Sehnsucht,
ovvero il senso di inquietudine, turbamento oltre al tentativo di decifrare
l’assoluto, l’infinito, l’illimitato. Dopo lettere che ci testimoniano
quanto fosse antifrancese e lo squallore causato dal fallimento degli ideali
rivoluzionari si concentra sulla drammaturgia.
Dai primi
dell’Ottocento diventa scrittore professionale e compone il primo dramma per
teatro quando si trova a Thun, in Svizzera, nel 1802. L’opera viene titolata
Die Familie Schroffenstein (La familia
Schroffenstein) e getta già le basi dello stile kleistiano: crollo di
certezze, tragicità della condizione esistenziale, incomprensione totale
della realtà che, nel tentativo di essere compresa, fa emergere ulteriore
oscurità e dubbi. I medesimi temi si riscontano nell'opera
Robert Guiskard prima di invertire
momentaneamente la rotta e comporre due commedie teatrali come
Amphitryon e
Der zerbrochne Krug (La brocca rotta). Geniale trasposizione e
rielaborazione della pièce di Molière la prima, parodia estrema della
giustizia la seconda. In quest’ultima ogni cosa è l’opposto di quello che
sembra, la menzogna acquista il credito della verità e la corruzione
giustifica e legittima il giudizio.
Nel 1807 comincia a scrivere
racconti, il primo dei quali è Das Erdbeben
in Chili (Il terremoto in Cile). Qui l’uomo diventa una
folla compatta, unanime nell’aberrazione religiosa e nella malvagità.
Ciascuno pone fiducia, ingenuamente, negli altri in una situazione critica
come una catastrofe naturale. E lo stile si conforma all’argomento: dialoghi
serrati e furiosi, ritmo veloce, numerose esclamazioni. Qui il desiderio di
vita e morte si scambiano continuamente i ruoli fino a non distinguersi più.
Il 1808 è forse l’anno più ricco nella produzione di Kleist; a livello
teatrale conclude Penthesilea e
Die Hermannsschlacht (La battaglia di
Arminio). La prima è un’opera a lungo dibattuta: l’autore descrive in
maniera radicale l’eros e porta alle estreme conseguenze le sue convinzioni
sia mondo, sia sul linguaggio; la rottura con il canone classico è
definitiva; regna il caos totale e la scrittura di Kleist riflette
perfettamente il contenuto del dramma di stampo greco, ma rivisitato e
ribaltato. I grafemi hanno un valore enigmatico e indicano tutt’altra
funzione di quello che rappresentano. Forma e testo sono resi volutamente
indecifrabili. Proprio come l’anima della protagonista, Penthesilea si
carica di questo messaggio provocatorio, dove ogni cosa è una maschera che
cela altro, dove la realtà è un insieme di forze opposte e disgreganti, un
gigantesco Rätsel (enigma). Questo azzeramento semiotico è un attacco
all’epoca dello scrittore. Cerca di dire, spiegare l’indicibile, ma proprio
perché tale non può essere analizzato e razionalizzato da alcun parametro.
Quello di Kleist è dunque un teatro non
rappresentabile, va più letto che riprodotto.
Cerca invano
di estrinsecare il plesso tragico dell’esistenza scrivendo altri racconti:
Die Marquise von O… (La marchesa di O…),
Die Verlobung in St. Domingo (Il
fidanzamento a Santo Domingo) e Das Bettelweib von
Locarno (Il mendicante di Locarno). Kleist per l’ennesima volta
ribalta, capovolge e scoperchia l’abissale e mostruosa forza dell’istinto
che spiazza l’uomo. Il tragico diventa comico e viceversa. L’amore diviene
violenza, gli angeli sono demoni celati. Tutto è e tutto si contraddice.
Le sue ultime fatiche teatrali sono Das
Käthchen von Heilbronn (Caterina di Heilbronn) e
Prinz Friedrich von Homburg (Il principe
di Homburg) entrambe del 1810. Nella prima, Das Käthchen Kleist effettua
l’esperimento di creare un personaggio doppio e perfettamente speculare a
Penthesilea: sono le due facce di una medaglia che porta segni opposti e
reciproci. Logica e verità non hanno diritto di cittadinanza. Nel Principe
di Homburg, attraverso il sogno, rimarca l’importanza e la profondità
dell’inconscio dell’animo umano e quanto esso domini l’individuo dietro
l’apparenza.
Chiudono la sua carriera i racconti
Der Zweikampf (Il duello),
Der Findling (Il trovatello) e
Die heilige Caecilie (Santa Cecilia)
oltre al romanzo Michael Kohlhaas dove
riversa frustrazioni e furore nei confronti dei soprusi subìti come
funzionario nell’apparato dello stato prussiano e della sua burocrazia. Il
suo saggio sul teatro delle marionette
conduce un sottile studio sull’anima, una perla metafisica e una sorta di
dialogo socratico. Come per certi versi farà Hölderlin, l’uomo dovrà
depurare la propria coscienza, svuotarla, liberarsi di tutte le
artificiosità che consentano al cammino dell’anima di lasciarsi manovrare da
qualcuno superiore a noi, proprio come la marionetta. Tornare insomma ad
un’antica purezza.
Tra il 1809 e il 1810 Kleist è giornalista e
scrive sul primo quotidiano berlinese
pubblicato nella sua edizione serale, der Berliner
Abendblätter che trattava reportages di attualità oltre a commenti
socio-politici.
La tomba di Heinrich von Kleist, a Berlino-Wannsee foto: Jochen Teufel
Heinrich von Kleist, prima rinnegato e poi
riscoperto, dà vita a metafore ardite, paradossi sconcertanti, contrasti che
generano incomprensione; i suoi personaggi sono passionali, ribelli,
squilibrati, fulcri di tensione e vittime dell’apparenza oltre che affetti
da patologica sofferenza. Tutti, come il loro creatore e demiurgo, in lotta
contro un destino che occulta e che viene sentito come assurdo.