"Pentesilea" di Kleist e "Morte di Empedocle" di Hölderlin
a sinistra: Heinrich von Kleist (1777-1811),
quadro di
Peter Friedel, 1801 a destra: Friedrich Hölderlin (1770-1843),
quadro di
Franz Karl Hiemer, 1792
Tesina universitaria di Daniele Brina.
Informazioni generali:
Titolo della tesina: La parola che condanna e la crisi del linguaggio: la
"Pentesilea" di Heinrich von Kleist e la "Morte di Empedocle" di Friedrich Hölderlin
Autore della tesina: Daniele Brina
Università: Università degli studi di Bergamo, Facoltà di Lettere e Filosofia
Anno: 2006
Conclusione della tesina (per leggere l'intera tesina vedi il link sotto):
Nell’argomentare l’utilizzo del linguaggio da parte di due autori come
Heinrich Von Kleist e Friedrich Hölderlin si possono effettivamente notare
notevoli analogie e differenze.
Per alcuni aspetti sia Kleist che Hölderlin, praticamente contemporanei,
aderiscono a tratti compositivi molto simili, seppur con finalità spesso
diverse. Una costante che si pone in evidenza dall’analisi linguistica di
Pentesilea e della Morte di Empedocle è il sistematico e progressivo
scorticamento del senso del linguaggio stesso. Nei momenti topici delle due
opere, ovvero la lacerazione interiore dei due protagonisti, sulla scena
appare una sorta di compresenza tra bene e male che fa vacillare il senso
del mondo.
Ogni cosa diviene un paradosso, nulla più si distingue facendo erompere
una forza tragica che si attiene a questa imperscrutabilità del tutto.
Sia in Kleist che in Hölderlin vi è una forte volontà di portare all’estremo
livello il linguaggio attraverso costruzioni di frasi a volte spezzate a
volte
tirate sino all’assoluto, per arrivare all’innocenza, ad una purezza, ad una
rivelazione.
Le parole, le proposizioni sono fondanti perché grazie a loro si dà modo
alle idee e ai pensieri degli autori di formarsi.
La lingua fabbrica l’idea per raggiungere una verità tramite però logiche
ab adsurdum, dove gli estremi si toccano e si annullano a vicenda,
manifestando mistero ma anche le incognite dei significati e la comparsa
di enigmi puri.
L’apparizione e la rivelazione dell’essere, degli enigmi, dell’essenza del
tutto arriverà dunque nei momenti di lacuna, nelle depressioni del
significato, cioè in quelle conche di vuoto in cui la coscienza, tesa
all’estremo, ha perso la sua presenza sull’uomo, e solo allora potrà
ricollegarlo a Dio e al mondo celeste, acquisendo la grazia e la sensibilità
perduta.
Sia Pentesilea che Empedocle sono ritratti di un’essenza umana in grado
di rammentare di continuo l’assenza di certezza dell’uomo stesso, i suoi
vincoli e le sue aspirazioni per ricondurre il tutto ad uno stato di maggior
naturalezza e immediatezza.
Entrambi i protagonisti si esprimono con l’ausilio di parole misteriose,
criptiche, tali da sottendere una riflessione più complessa sia sul
linguaggio, sia sull’essere. Il testo di Kleist e quello di Hölderlin
prendono
letteralmente forma tra le pieghe di tensioni espressive e verbali che
conducono inesorabilmente ad una condanna, ad una lacerazione che
strappa il senso stesso di ogni vocabolo, lo ruota, lo ribalta, lo abbassa e
lo innalza sino alla sospensione e all’indistinzione dei significati.
Con i due autori affrontati si parla infatti di un linguaggio tragico che si
colloca sulla soglia, sul confine, dove la scrittura conosce il momento
tragico come momento del limite tra soluzione e non soluzione, estrema
unione ed estrema rottura.
Le due opere evidenziano l’importanza di un ritorno ad un linguaggio
primordiale, delle origini, che non stabilisca differenze, ma anzi che
possa disporre di infiniti significati e sia libero da regole e convenzioni.
D’altro canto sia Kleist che Hölderlin possiedono nei loro testi un rigore
ed una precisione linguistica inaudita; ogni singola parola deve avere un
effetto in sé per sé, con ritmi e sintassi molto liberi e particolari che
richiedono al lettore molta concentrazione.
L’arte e la scrittura per Kleist, la poesia per Hölderlin sono l’unico
rifugio
da ogni cosa, che pur non potendo più offrire un senso, possono almeno
dare una consolazione.
Sia Pentesilea che Empedocle ci vengono presentati e descritti come del
tutto spersonalizzati, incarnando la tragedia della creazione artistica.
I due protagonisti sono letteralmente intrappolati in giochi di specchi in
cui le forze, il senso e le distinzioni si annullano e non permettono loro
di
essere se stessi; uniscono in loro gli estremi in lotta, il bene e il male,
attraverso una fitta trama e intelaiatura dove, come asserisce Cesare
Lievi nella sua introduzione alla tragedia di Empedocle “la colpa non è
più una sillaba di orgoglio, ma una sorta di insufficienza connaturata
all’essere storico, una mancanza di individualità. La colpa è destino.”
Entrambi i drammi sono percorsi da una rete di simboli all’interno del
linguaggio che indicano le direzioni alto e basso, discesa e caduta.
Pentesilea, ma anche Empedocle, sceglieranno infatti la medesima
strada, quella che porta verso l’alto, verso la spiritualità pura.
In conclusione numerose analogie fanno da tematiche cardine oltre che
da cornice alle opere qui considerate dei due scrittori: arte, natura,
linguaggio, il trionfo della forza anarchica e primitiva dell’istinto che
apre
la strada ad inevitabili tragici epiloghi.
Pentesilea ed Empedocle incarnano una lotta contro il destino, contro
l’avversario, ma soprattutto un conflitto contro ciò che si trova
all’interno
di loro stessi, di cui il linguaggio se ne fa portavoce e specchio.
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