Viaggio in Germania - La cultura tedesca
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Introduzione all'opera di Friedrich Nietzsche

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Friedrich Nietzsche
Friedrich Nietzsche (1844-1900), in una fotografia del 1882
foto:
Gustav-Adolf Schultze
Articolo di Diego Fusaro.

Nietzsche rappresenta una spietata ed acuta negazione del passato:

Federico Nietzsche é una delle grandi figure del destino della storia dello spirito occidentale, un uomo che costringe alle estreme decisioni, un terribile punto interrogativo sul cammino lungo il quale era andato fino ad allora l’uomo europeo, cammino determinato dalla eredità dell’antichità e di duemila anni di cristianesimo. Nietzsche rappresenta la spietata ed acuta negazione del passato, il rifiuto di tutte le tradizioni, l’appello ad una svolta radicale. Nietzsche è il filosofo che mette in dubbio tutta la storia della filosofia occidentale, che cerca, dopo venticinque secoli di interpretazione metafisica dell’essere, un nuovo principio. Egli sovverte i valori occidentali ed è volto verso il futuro; ha un programma, un ideale, che è quello della "grande salute".

All’inizio della sua riflessione, Nietzsche fu influenzato da Schopenhauer, per il quale la vita è crudele e cieca irrazionalità, è dolore e distruzione. Ma egli non si ferma al pessimismo di Schopenhauer: il sentimento tragico della vita è accettazione della vita stessa, è una esaltante adesione a tutti gli aspetti dell’esistenza, anche a quelli più terribili, poiché tutto fa parte dell’immensa marea della vita. Ne La nascita della tragedia (1872), Nietzsche vede nel mondo greco la stagione spiritualmente più alta e ricca dell’umanità. La civiltà greca era infatti nutrita da un vigoroso senso tragico, che è per Nietzsche l’autentico modo di rapportarsi alla vita: è accettazione di essa, coraggio davanti al Fato. L’uomo greco vedeva dappertutto l’aspetto orribile e assurdo dell’esistenza: ma egli seppe, nell’arte, trasfigurando l’orribile e l’assurdo in immagini ideali, rendere accettabile la vita. La grande tragedia greca è la forma suprema di arte, in quanto in essa si compongono gli impulsi vitali creativi (spirito dionisiaco), e la moderazione, l’equilibrio, la razionalità (spirito apollineo). Dalle Considerazioni inattuali (1873-74) in poi, Nietzsche inizia la sua critica ad ogni manifestazione culturale. La coscienza e il linguaggio si sono sviluppati dal bisogno di comunicare, comandare, difendersi. La scienza non è che il proseguimento della costruzione concettuale iniziata nel linguaggio; anch’essa è solo capace di ricondurre utilitaristicamente il mondo ad unità, creando l’immagine di un universo "regolare e rigido", e si limita perciò a descrivere la superficie delle cose. Essa vuole parlare il linguaggio dei fatti, ma il fatto è sempre stupido, non parla da sé ma ha bisogno di qualcuno che lo interpreti. Dunque la scienza non è mai pura, né oggettiva perché non esiste conoscenza senza presupposti, e che non sia uno strumento in mano a qualche forza. Si pratica la scienza, insomma, per desiderio di sicurezza, per fuggire fantasmi e paure, per sete di possesso e di dominio. In quanto poi alla storia (cfr. la seconda delle Considerazioni inattuali intitolata Sull’utilità e il danno della storia per la vita), essa serve all’uomo perché ha bisogno di avere dei maestri ideali. Ma se la storia dice di poter servire alla vita, non può però pretendere di essere una scienza oggettiva; d’altra parte, se vuole essere una scienza, essa diventa una sorta di statica conclusione e di inutile bilancio di vite. In più, la società moderna tende a trasformare le cose in eventi, che obbediscono ad una legge inesorabile ed estranea all’uomo. L’individuo non è altro che uno spettatore di un processo, la Storia, che lo supera e lo travolge.
Gli scritti successivi (Umano, troppo umano,1878-80; Aurora, 1881; La gaia scienza,1882), aprono la fase "neoilluministica" di Nietzsche. Egli vuole deliberatamente mettere tutto in discussione: romanticismo, idealismo, positivismo, socialismo, evoluzionismo, cristianesimo, metafisiche e dogmatismi vari. Tutte le realtà che sono state presentate come nobili, vere, spirituali sono in realtà "umane, troppo umane". Sono costruzioni che esprimono solo gli istinti, appetiti, passioni e interessi più intimi dell’uomo. Nietzsche rifiuta così ogni tipo di metafisica e di religione, ed attacca lo stesso concetto di verità: secondo Nietzsche si sono chiamate verità gli errori utili, quelli che sono indispensabili all’uomo per poter vivere, giacché non sopporta il vivere senza un senso. La volontà di verità ha la sua radice proprio nel bisogno di stabilità, nella paura di instabilità. Ma non esiste nessuna verità se non all’interno di una interpretazione ed in riferimento ad una particolare prospettiva. In altre parole, non vi sono verità evidenti se non all’interno di categorie storicamente instaurate dagli uomini.

Nietzsche e il cristianesimo:

Per quanto riguarda la religione, Nietzsche definisce il cristianesimo come "platonismo per il popolo", nel senso che afferma due realtà, di cui quella che non si vede è la più importante. Non solo: il cristianesimo oppone i valori del cielo a quelli della terra. Così esso è la religione dei deboli, dei vinti. L’ateismo appare quindi a Nietzsche come l’unica alternativa per liberare l’uomo. Esso è in lui qualcosa di ovvio: "Sono troppo curioso, troppo incredulo, troppo insolente per accontentarmi di una risposta così grossolana. Dio è una risposta grossolana, un’indelicatezza verso noi pensatori; anzi, addirittura, non è altro che un grossolano divieto contro di noi: non dovete pensare" (cfr. Ecce homo). Ne La gaia scienza Nietzsche sostiene che l’uomo ha ucciso Dio. "Dio è morto e noi l’abbiamo ucciso" (fr. 125). La civiltà occidentale ha ucciso Dio a poco a poco, ma, uccidendo, ha perso ogni punto di riferimento. Dicendo che "Dio è morto!" Nietzsche vuol indicare insomma che sono morti gli ideali ed i valori del mondo occidentale. Dio è stato ucciso perché in Lui era sintetizzato tutto ciò che era contro la vita. Però, ora che Dio è morto, l’uomo non sa più che cosa fare: è privo di valori ed è quindi solo, sperduto "nel gran mare dell’essere", senza punto d’appoggio. Non c’è che una alternativa: è l’uomo stesso che deve creare i valori. Ma quali? Prima di proporre una nuova tavola di valori, Nietzsche si dedica allo smantellamento della morale. In Al di là del bene e del male (1886) e nella Genealogia della morale (1887), egli risale all’origine dei comportamenti morali. La morale per Nietzsche è uno strumento di dominio: essa consiste nella costituzione di valori presentati come universali e auto-evidenti, ma in realtà astratti e repressivi. In nome di tali valori, alcuni uomini (i "buoni") ne soggiogano altri (i forti). Vi sono infatti due tipi di morale: la morale dei sani, dei forti, che privilegia l’individualismo, la fierezza, l’amore per la vita; e vi è poi la morale degli schiavi, dei deboli, che è sociale e utilitaristica, che predica la democrazia e via dicendo. La morale degli schiavi è nata col cristianesimo ed è sorta per il risentimento verso la classe dei forti: infatti i mediocri non sanno elaborare nulla di proprio e di autonomo, la vera azione è loro negata, ed allora trovano il compenso in una vendetta immaginaria. Il disinteresse, l’abnegazione, il sacrificio di sé sono il frutto del risentimento dell’uomo debole verso la vita. I deboli, che non sanno vivere, hanno fatto diventare valore la negazione della vita; è questa la vendetta dei deboli contro i forti. La morale tende così ad indebolire l’uomo. L’essere umano desiderava soddisfare le proprie pulsioni, realizzarsi in questo mondo. La morale lo ha invece spinto a credere in una specie di anti-mondo, lo ha portato ad allontanarsi dalla sua natura originaria, che è terrestre. Ma la natura si è vendicata e gli istinti si sono rifugiati all’interno dell’uomo.

Il concetto di "Superuomo":

Nietzsche ha anticipato qui Freud: ha scoperto la resistenza degli istinti e delle pulsioni, la impossibilità di annullarli con la forza della coscienza e della morale. Ed ha scoperto che, se non sono liberati per vie naturali, essi possono esercitare un’azione ancora più perversa. L’uomo appare così a Nietzsche come un "animale malato". Orbene, per liberare l’uomo da questo nichilismo (nella sua storia l’Occidente ha progressivamente negato i valori vitali), Nietzsche propone una trasvalutazione di tutti i valori, una nuova tavola di valori che realizzino l’ideale della "grande salute". Per poterla attuare, egli ha elaborato i concetti di volontà di potenza, superuomo ed eterno ritorno. In Così parlò Zarathustra (1883-85), Nietzsche mette in bocca a Zarathustra la dottrina della "morte di Dio", che è l’inizio della liberazione da tutti gli idoli metafisici. L’uomo vivrà felice e libero quando si sarà liberato da tutti i legami, anche da quelli stessi di "uomo" e "umanità". "L’uomo deve essere superato" affinché arrivi il Superuomo o Oltreuomo. Il superuomo sarà un essere libero, che agirà per realizzare se stesso. E’ un essere che ama la vita, che non si vergogna dei propri sensi e vuole la gioia e la felicità. E’ un essere "fedele alla terra", alla propria natura corporea e materiale, ai propri istinti e bisogni. La "fedeltà alla terra" è fedeltà alla vita e al vivere con pienezza, è esaltazione della salute e sanità del corpo, è altresì affermazione di una volontà creatrice che istituisce valori nuovi (ecco il vero significato della volontà di potenza). Non più "tu devi", ma "io voglio". Il superuomo è inoltre un essere socievole, rappresentato da Zarathustra che balla. Egli ha abbandonato ogni fede, ogni desiderio di certezza, per reggersi "sulle corde leggere di tutte le possibilità". La sua massima è: "Diventa ciò che sei". La libertà del superuomo è una ricchezza di possibilità diverse, da qui appunto la rinuncia ad ogni certezza assoluta e da qui anche la profondità tipica del superuomo, l’impossibilità di definire e giudicare la vita interiore, dalla quale non si attinge altro che la maschera ("Tutto ciò che è profondo, ama mascherarsi"). Il superuomo è il filosofo dell’avvenire; è un uomo senza patria né mèta per poter insegnare ad amare la ricchezza e la transitorietà del mondo. Con la sua "diversità di sguardo", egli cerca di rendere più degno il pensiero della vita, di dare al mondo un altro valore, un’altra verità: la verità non è qualcosa da riconoscere ma da creare. Con la libertà che nasce dall’abbandono delle vecchie illusioni e certezze, egli osa "spostare le pietre di confine" e aprire alla ricerca nuovi orizzonti.
La volontà di potenza, come abbiamo già accennato, è la volontà di creare sempre, incessantemente, dei valori nuovi, cioè creare il senso della terra; quindi tutte le cose dipendono dalla volontà, dalla mia volontà. E’ questo può introdurci al terzo concetto, quello dell’eterno ritorno dell’uguale. Nietzsche vuole polemizzare così contro lo storicismo e l’evoluzionismo e, d’altra parte, rifiuta la riduzione della realtà a meri eventi effimeri, senza valore. Per Nietzsche, tutto quanto che accade, è già accaduto, e tornerà ad accadere. Nulla avviene a caso; e quando avviene, avviene per sempre, non si dissolve, ritorna eternamente. Questa dottrina – dice Nietzsche – è una condanna solo per gli uomini mediocri, poiché per essi torneranno sempre frustrazioni e sconfitte. Ma per il superuomo, invece, l’eterno ritorno indica che in ogni momento si può cominciare una nuova vita. Per questo esso richiede un impegno assoluto: il superuomo è consapevole che ogni suo atto si inserisce in una realtà eterna. L’eterno ritorno è anche il sì che il mondo dice a se stesso, è l’autoaccettazione del mondo, la volontà cosmica di riaffermarsi e di essere se stesso: dall’eternità il mondo accetta se stesso e quindi si ripete. L’eterno ritorno è così una verità terribile. Bisogna però fare di più che "sopportare" un simile pensiero : bisogna amarlo, bisogna promettere noi stessi all’"anello degli anelli"! La formula per la grandezza dell’uomo è dunque l’amor fati, non volere nulla di diverso da quello che è, non solo sopportare quello che è necessario, ma amarlo appassionatamente e quindi volerlo. Questo amore libera l’uomo dalla schiavitù del passato, giacché per lui tutto quello che è stato si trasforma in "ciò che io volevo che fosse". Il presente, in quanto momento della decisione, ha la capacità di far ritornare il passato riassumendolo nell’atto della decisione. E’ quindi proprio nella decisione che il tempo si crea come tale, dividendosi in passato, presente e futuro.

Articolo di: Diego Fusaro

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