Friedrich Hölderlin (1770-1843), in un ritratto del 1792 fonte:
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Cenni biografici:
Friedrich Hölderlin nasce a Lauffen am Neckar nel
1770. La sua vita è subito messa alla prova dalla morte del padre quando ha solo due anni. Inizia fra il 1784 e il 1788 gli
studi di teologia prima presso i seminari di Denkendorf e Maulbronn, poi all'università di Tubinga dove conosce
Hegel e Schelling. Nel
1793 viene abilitato all'esercizio di pastore, ma si rifiuta di assumere un simile incarico - non ne amava il dogmatismo e il cristianesimo privo di interiorità - rivolgendosi piuttosto alla scrittura e alla carriera accademica. Dopo essere entrato in contatto con
Herder,
Schiller e Goethe a
Jena e a Weimar nel 1796 riprende l'attività di precettore. Successivamente si reca, sempre per tale mansione, a
Francoforte sul Meno presso un ricco banchiere della cui moglie Susette s’innamora e che verrà cantata con il nome di Diotima.
È uno dei pochi periodi felici della sia vita, ma dopo le umiliazioni subìte dal geloso marito di Susette è soggetto a continue crisi di coscienza. Sempre più agitato e spesso in stato confusionale si sposta a
Homburg vor der Höhe per assumere la carica di bibliotecario; serenità e lucidità torneranno a sprazzi nella sua vita fino alla catarsi completa. Si rifugia nella sua torre a
Tubinga sul Neckar. Nell’ anno della morte, il
1843, crea la sua ultima poesia
La veduta, che firma con lo pseudonimo di Scardanelli.
La "Torre di Hölderlin" a Tubinga, sul fiume Neckar foto:
Thomgoe
Le opere di Hölderlin:
Chiaramente gli infiniti dissidi interiori si ripercuotono sulle sue
composizioni. Hölderlin è lo scrittore che per eccellenza nella letteratura
tedesca specifica il ruolo del poeta in quello che lui stesso definisce un
tempo senza dèi. La poesia diviene subito un rifugio, una reazione di
contemplazione al mondo che lo circonda e di cui percepisce una profonda
spirale negativa. Comincia a produrre inni ed elegie come
An die Menschheit,
An die Schönheit,
An die Freiheit. L’incidenza che ha esercitato sulla
cultura è decisiva; nomi illustri si sono nutriti dei suoi contributi
letterari e filosofici: Rainer Maria Rilke,
Walter Benjamin,
Karl Reinhardt. Hölderlin fonda e plasma una parte dello spirito
tedesco. Ascolta i discorsi di Fichte e incontra Hegel e Schelling a Tubinga
assorbendone idee ed insegnamenti. Fin da giovane si lascia avvolgere da
influssi che lo conducono a grandi costruzioni speculative sulla propria
epoca.
Considera la voce della natura come fonte inesauribile del
linguaggio poetico ed è con questa premessa che rivolge il suo sguardo
all’antichità greca descritta come canone assoluto di armonia dove gli dèi
comunicavano ancora con gli uomini evitando dolori e lacerazioni. L’inno
An
den Genius Griechenlands (1790) ne è la prima manifestazione esplicita.
Così, il letterato inizia il suo viaggio per tentare di salvare la sua
epoca, poi definita Dürftige Zeit (Il tempo della miseria). In Grecia gli dèi
'abitano' ancora il mondo, mentre l’uomo moderno non ha più nessuno che lo
tuteli dal caos (che lui chiama aorgico) che non è più in stretta simbiosi e
correlazione con il corrispettivo organico, ovvero la natura in armonia.
Nella modernità riscontra l’incapacità di conciliare queste due forze
procurando una ferita nell’umanità. Ed è qui che si definisce il compito del
poeta, la sua missione: è colui che deve chiudere questa frattura costruendo
un nuovo essere, riportare l’armonia e gli dèi fra l’uomo. Ecco perché
Hölderlin viene definito il 'poeta ferito'. È lui che con la sua esperienza
poetica può far rinascere un nuovo mondo, donarci una nuova origine grazie
alla sua parola incontaminata; formula un nuovo linguaggio come un profeta
che prepara una possibile esperienza con il divino che aveva abbandonato
l’uomo lasciandolo smarrito.
Le sue liriche esprimono queste idee,
sensazioni, nostalgie e frustrazioni. Tra le più conosciute si possono
ricordare An Diotima, dedicata all’amata Susette,
Die Fluten des Himmels,
Der Mensch, Der Wanderer. Ad Homberg compone
Abendphantasie, Der Neckar,
Geh
unter, schöne Sonne, ma soprattutto quelle rivolte al dovere del poeta,
ovvero An unsere großen Dichter,
Die scheinheiligen Dichter,
An die jungen
Dichter. Verso la fine degli anni ’90 del Settecento si dedica anche alla
stesura del romanzo epistolare e autobiografico Hyperion oder Der Eremit in
Griechenland dove riversa gioia e insieme complessità e difficoltà da parte
dell’uomo nel poter partecipare della divina immensità del tutto (quello che
lui stesso definirà En kai Pan, formula greca con la quale si indica
l’identità dell’Uno col Tutto ovvero l’armonia globale fra natura, Dio e
umanità). Non riuscirà invece a portare a compimento la tragedia
Der Tod des
Empedokles, iniziata nel 1797. È un’opera teatrale che di rappresentabile ha
ben poco: è lirica pura. Anche qui scava nella letteratura greca per
recuperare la leggenda della morte del filosofo Empedocle di Agrigento che
si era gettato nel cratere dell’Etna. In Hölderlin viene usato come pretesto
per giustificare un sacrificio d’espiazione volto a rifondare e rigenerare
religiosamente ed eticamente l’umanità.
Nei suoi inni e nelle sue
ultime liriche ribadisce la funzione mediatrice del poeta come vate
depositario di quel segreto destinato a redimere l’umanità. La fase finale
della sua attività produttiva, prima del grande silenzio letterario
interrotto solo talvolta da qualche verso, assume spesso una forte valenza
religiosa e cristologica come testimoniano le tre grandi elegie
Heimkunft,
Die Herbstfeier e
Brot und Wein. Degna di menzione per la particolare
bellezza è la poesia Andenken, presumibilmente scritta nel 1803. Andenken
significa “rimembranza” e qui rianalizza l’essenza stessa del canto poetico,
oltre nuovamente alla mansione del poeta; quest’ultimo deve mantenere in
vita la parola delle origini, pura e inviolata che solo lui attraverso la
sua sensibilità artistica, può ancora udire. Il poeta diventa il cantore
dell’immortalità, di qualcosa che va ricordato, memoria alla quale egli può
ancora aver accesso. Hölderlin lascia così permeare i suoi versi da
intuizioni filosofiche che fungono da viatico per combattere la lacerazione
del suo tempo e cogliere la profondità di una nuova lingua che possa
ricreare quell’autenticità perduta dall’uomo. È proprio nella capacità di
cogliere questa scissione, frammento e spaccatura che si racchiude la
folgorante grandezza di questo lirico tedesco.