Friedrich Dürrenmatt (a destra) in un colloquio con Max Frisch
foto (del 1961): ETH-Bibliothek Zürich
La Pizia profetava a casaccio, vaticinava alla cieca,
e poiché altrettanto ciecamente veniva creduta,
nessuno ci faceva caso se le sue profezie non si avveravano quasi mai,
o solo qualche rara volta"
Friedrich Dürrenmatt ne "La morte della Pizia"
"La morte della Pizia" - una parodia ironica e spassosa:
Nella mitologia greca, la Pizia era l’eletta sacerdotessa del dio Apollo a
Delfi che, seduta sul suo tripode e avvolta dal vapore, profetizzava agli
uomini il volere degli dei attraverso uno spiritato (e solenne) vaticinio,
quasi una liturgia della religione politeista. Nel racconto "La morte della
Pizia" di Friedrich Dürrenmatt, pubblicato nel "Mitmacher" nel 1976, la
profetessa di Apollo diventa “un’imbrogliona che improvvisava gli oracoli a
casaccio, secondo l’umore del momento”, l’ultima delle pizie che appaiono
come la versione antica delle cartomanti di oggi.
Egeo, il mitico re di Atene, consulta la Pizia
fonte:
Wikimedia Commons
Friedrich Dürrenmatt, scrittore svizzero (1921-1990), tiene in modo
particolare alla parodia (un altro tentativo riuscito è "Il Minotauro") e
con questo racconto, piccolo capolavoro della burla ironica, ci presenta un
mito che assomiglia a una caricatura, prendendo tuttavia le dovute distanze
dalla satira e dal sarcasmo infondato. Perché la messa in ridicolo della
Pizia è motivata dalla ragione prima del suo autore, ovvero l’investigazione
e l’interpretazione dello straordinario arcano, il protagonista assoluto del
racconto, che fa uscire pazzi gli antichi greci che gli si accostavano con
fede incondizionata.
Chi è la Pizia di Dürrenmatt?
La Pizia di Dürrenmatt è una vestale stanca e vecchia che desidera “morire
con dignità, almeno quello, senza fare sciocchezze” perché “da tempo ormai
quel che accadeva in Grecia non le importava più.” La Pizia di Dürrenmatt
“si cucinava il semolino e lo lasciava lì perché si addormentava”. Questa
Pizia è una forza della natura a giudicare dalle frasi misantrope e selvagge
che mai avremmo immaginato di sentire da un’austera sacerdotessa di Apollo,
una leggenda, un’icona, in fondo triste e decadente, che ha costruito il suo
mito intorno all’assurdo e invadente desiderio dell’uomo di sapere oltre i
confini.
Il punto di svolta del racconto è la riflessione della Pizia ormai prossima
alla morte che, nel luogo dove ha lavorato per tutta una vita, “si domandò
come avvenisse il morire: era emozionata, pregustava l’avventura”, quasi
come se non vedesse l’ora di liberarsi del fardello della curiosità senza
limite degli esseri umani. In una divinazione diciamo “privata” dove ella
interagisce con gli altri miti durante una specie di visione, la Pizia
ripercorre la sua sfolgorante carriera, lanciandosi in teorie e divinazioni
bizzarre sul fantastico mondo al quale appartiene: la storia incredibile di
Edipo, la forza sovraumana di Eracle, la sua personale e storica rivalità
con il gran sacerdote Tiresia, il matrimonio di Cadmo e Armonia, la Sfinge,
“quel beone di Prometeo”, personaggi che le parlano ricordando la loro
vecchia amicizia. Poco importa se, nella sua riflessione, la Pizia definisce
l’attività di Apollo (la nascita e il tramonto del sole portato a spasso sul
carro condotto dallo stesso dio) come “il solito, sempiterno spettacolo
kitsch”. La Pizia riflette infine sugli uomini e sulla loro natura, sulla
giustizia fino all’ultima, sagace profezia che li riguarda. Il racconto si
conclude con un colpo di scena repentino e minaccioso, ma forse il lettore
si aspettava qualcosa del genere alla fine di una lettura così irriverente
che non poteva terminare soltanto fra scenografici vapori mistici e oracoli
dietro compenso per pagare la pensione alla Pizia.
C’è un solo motivo per leggere "La morte della Pizia" ed esso risiede nella
più assoluta e totale presenza spassosa di ironia e di arguzia sulle
narrazioni fantastiche considerate forse un capitolo a parte della
letteratura greca. Se ciò ancora non convince, citiamo le prime righe del
racconto come corroborante invito alla lettura: “Stizzita per la scemenza
dei suoi stessi oracoli e per l’ingenua credulità dei Greci, la sacerdotessa
di Delfi Pannychis XI, lunga e secca come quasi tutte le Pizie che l’avevano
preceduta, ascoltò le domande del giovane Edipo, un altro che voleva sapere
se i suoi genitori erano davvero i suoi genitori, come se fosse facile
stabilire una cosa del genere nei circoli aristocratici, dove, senza
scherzi, donne maritate davano a intendere ai loro consorti, i quali
peraltro finivano per crederci, come qualmente Zeus in persona si fosse
giaciuto con loro”.